La Lunga storia dei sapori
La millenaria mescolanza di razze e tradizioni ha condizionato la storia e la gastronomia della provincia di Trapani. Echi remoti gravitano sugli aromi e i sapori della cucina di questo territorio. Le cotture alla griglia e l'uso dell'origano, dell'aglio e delle olive sono riconducibili ai Greci che sebbene non stabilirono un vero e proprio dominio in questo comprensorio, riuscirono a varcarne i confini sottoforma di influsso culturale e arte culinaria. I Fenici capirono per primi la versatilità del suolo e le potenzialità offerte dal mare. |
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Risalgono probabilmente al loro estro imprenditoriale le tecniche per la cattura del tonno, le vasche per la coltivazione del sale, la pesca del pesce azzurro. Particolarmente ricco è l'apporto degli arabi che si fermarono sull'isola dall'inizio del IX secolo fino all'anno Mille. In agricoltura appaiono nuove coltivazioni: i meloni, gli agrumi, la frutta secca, il gelsomino la scursunera. Si diffonde l'uso dell'agrodolce per verdure, carni e pesce. Ma la cucina del Trapanese acquista una propria identità, molte ricette apparentemente di importazione araba furono invece perfezionate dalla seconda e dalla terza generazione di arabi siciliani. Di origine araba è il cuscus, il piatto simbolo di gran parte della provincia. Di derivazione francese alcune piccole rivoluzioni, ma è con gli spagnoli che fuochi e cibo si elevano a gastronomia. Nel Settecento i Borboni portarono il glamour delle corti napoletane. In cucina arriva il monzù, erede e interprete della grande scuola francese; i saloni damascati dei palazzi nobiliari ospitano cene e feste sontuose incui compaiono, su porcellane inglesi e piatti di argento, timballi di riso, pesce salsito, fritto di cervella e carciofi, umido di galletti con piselli, Marsala e Champagne. |
Il gusto del mare e dell'entroterra
Il cuscus è un piatto intimamente legato alle tradizioni di questa terra. E' un rito che si tramanda da madre in figlia. | |
La semola, legata in grani con acqua e condita con olio e un trito di aglio, cipolla e prezzemolo, viene cotta a vapore per circa un'ora nella cuscusera, uno speciale tegame di coccio con i buchi. Il cuscus si passa, quindi, nella mafaradda (recipiente di terracotta a pareti svasate). Si abbivira (irrora) con brodo di pesce e si lascia riposare al caldo, sotto una coperta, per almeno un paio d'ore. |
Un altro caposaldo della cucina marinara è la ghiotta, la zuppa tipica del trapanese: olio, cipolla, aglio, pomodoro fresco e pesci di ogni tipo: scorfani, pesci San Pietro, martelli, ma anche vope (boghe), serranie (sciarrani). |
Il tonno è la testa coronata di questa gastronomia, una scia di sapori che dilaga in tutta la provincia. Si gusta a ragù, con la salsa di pomodoro, oppure al forno con cipolla abbondante e vino. Le parti più grasse sono destinate alla cottura alla griglia, magari irrorate con un semplice salmoriglio composto da olio, sale, pepe e succo di limone. Il taglio più magro, la cosiddetta tunnina, si mangia fritto con la cipollata. Con la parte finale, vicina alla coda si ottiene un'ottima base per le polpette. Dalla lavorazione del tonno si ricavano numerose altre prelibatezze. | |
A cominciare dalle uova che, essiccate e salate, sono utilizzate come antipasto: tagliate a fettine e irrorate con un filo d'olio oppure grattugiate su tartine imburrate. Sbriciolate nel soffritto sono un ottimo condimento per gli spaghetti. Oltre alla bottarga sono anche squisiti il cuore, la tunnina salata, i filetti affumicati. |
Pesciolini minuti ( viole, serranie, ritunni ) e qualità pregiate come aragoste ( eccellenti in brodo con pastina o con le frascatole, granelli di semola incocciate ), merluzzi, gamberi, polipetti. Una cottura tipica del pesce è alla matalotta, un brodetto a base di pomodoro e cipolla. La pasta con le sarde si fa in bianco con i bucatini e senza zafferano. La milanisa si prepara con le sarde salate, la salsa e la mollica abbrustolita.
Non meno importante è la cucina dell'entroterra che predilige le verdure, i formaggi, le uova, le carni. Piatto forte della tavola contadina è il castrato (un agnello messo all'ingrasso ) alla brace. Minestre della tradizione sono il maccu di fave con tagliolini ( purea di fave con pasta fresca ), le minestre di zucchine e tenerumi , la zuppa di ceci, le ave pizzicate con le gira ( fave secche, biete e patate ). Le verdure selvatiche si cucinano in brodo oppure affucate, cioè cotte lentamente in tegame con coperchio senza acqua. Piatto della festa per eccellenza è il braciolone, un rotolo di carne farcito con pangrattato, salumi, uova e formaggi. Ma è per le polpette che i trapanesi hanno una vera passione. Si fanno con i cavolfiori, il finocchietto selvatico, le sarde, le melanzane, il baccalà, la carne di maiale.
Naturalmente è il pane a onorare degnamente sughi e brodetti. La tipica forma trapanese è la vastedda, una pagnotta dal peso di un chilogrammo, cosparsa di giuggiulena (sesamo) o con cimino (semi di anice). Ancora calda, è squisita cunzata ( condita ) con olio, sale, pepe e origano o aggiungendo, a piacere, pomodoro, filetti di acciuga e formaggio primo sale. | |
Caratteristico e molto diffuso è il forno a pietra con alimentazione a legna. Nei banconi dei panifici non mancano mai i cosci 'ncoddu ( filone lungo ripiegato varie volte su se stesso e coperto di sesamo)il mafaldone ( a zig zag con una fettuccia di pane verticale), la scaletta, u pistulune ( filone impastato a mano con tagli in superficie), la esse con i semi nell'impasto, il cucciddato ( pane di semola a esse frastagliato ), lo squarato soprattutto a Pesqua e a San Martino i mufoletti. |
Sono prodotti da forno pure alcuni biscotti: i mustazzoli di vin cotto e di miele, i miliddi, i biscotti Umberto, i tricotti, i biscotti Regina, i savoiardi, i biscotti all'anice, i quaresimali con le mandorle, i catalani, i taralli glassati e i biscotti con i fichi o la conserva di zucca. Le pizzerie propongono la rianata, la pizza trapanese con sarde salate, pomodoro, prezzemolo, origano, aglio e pecorino. Nelle rosticcerie trionfano panelle, crocché di patate, arancine, iris con carne o ricotta, calzoni al prosciutto, cardinali con la carne.
Un'enorme ricchezza nel panorama gastronomico locale sono i dolci. Oltre a quelli classici, cannoli di ricotta e cassate, esiste un'infinità di generi di pasticceria: pesche colorate di alchermes e ripiene di ricotta, sfincioni di San Giuseppe, diplomatici, patate dolci, graffe con la ricotta, manicotti, cappelletti.
Il 13 Dicembre, rituale è la cuccia, grano lessato e condito con vin cotto, o con ricotta e cioccolato o con crema. |
Per la festa dei Morti ai bambini si regalano frutti di Martorana e Pupi di zucchero. A Pasqua con la pasta di mandorla si confezionano artistici agnellini talvolta ripieni di conserva di cedro. |
L'olio è un altro gioiello di questa cartina dei sapori. Dal 1999 l'olio delle Valli Trapanesi ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta. Per fregiarsi del marchio, le varietà di olive presenti da sole o congiuntamente devono essere del tipo Cerasuola e Nocellara del Belice in misura non inferiore all'80%. La zona di produzione comprende i comuni di Trapani, Buseto Palizzolo, Calatafimi, Campobello di Mazara, Castelvetrano, Custonaci, Erice, Gibellina, Marsala, Mazara del Vallo, Paceco, Petrosino, Poggioreale, Salemi, Vita. |
Le campagne trapanesi, naturalmente vocate alla vitivinicoltura, sono il cuore della DOC Erice ( Buseto Palizzolo, Erice, Cistonaci, Trapani e Valderice). Le tipologie previste dal disciplinare sono: bianco ( Ansonica, Catarratto, Grecanico, Grillo, Chardonnay, Muller Thurgau, Sauvignon) rosso ( Calabrese, Frappato, Perricone, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot) rosso riserva, moscato, passito, spumante dolce e brut.
Erice, a tavola con il mito
C'è da smarrirsi ad Erice, fra le intricate trame dell'antico borgo. Ad inseguire torri, chiese, castelli. O soltanto a ripercorrere le tracce di un odore, di un profumo inebriante che riporta ai focolari, ai biscotti fatti in casa, ala pasta cotta nel forno a legna. Caratteristica variante ericina del cuscus trapanese è l'aggiunta delle mandorle tritate nella zuppa. Nelle fredde sere d'inverno, le minestre riannodano i legami con il passato: i semini di mela con il brodo di gallina, le cassatelle di ricotta in brodo di gallinella, le frascatole in brodo di pesce, la ghiotta di babbaluci ( lumache ) con la menta e le mandorle, le fave secche a cunnigghiu, con finicchietto di montagna e biete.
La pasta fresca va a nozze con il pesto ericino: aglio, basilico, pomodoro, olio, mandorle e mollica abbrustolita. |
Un vero tesoro sono i dolci. La pasticceria ericina ha origini lontane. Non c'era casa umile o patrizia sprovvista di forno a legna dove venivano preparati dolci a base di ricotta, crema pasticcera, mandorle, marmellata di agrumi. Ma erano soprattutto i conventi i depositari di molte ricette. Le suore di clausura di San Carlo e di Santa Teresa sfornavano pasticcini e biscotti la cui fama toccava ogni angolo della Sicilia. |
Un patrimonio mai disperso, riproposto ancora oggi dalle pasticcerie di Erice ai palati moderni desiderosi di riscoprire remote tradizioni. Monacali sono pure i bocconcini di mandorla, gli amaretti, i frutti di Martorana, i quaresimali, i mustazzoli. Da una moderna rilettura delle ricette dei conventi sono nate le genovesi con la crema, i belli e brutti, i sospiri, le palline all'arancia, i dolcetti di mandorla al liquore. |
Le strade del sale
E' una fuga del sole dal cielo. Precipita giù rapido dal sale e si immerge gra i granelli candidi trasformandoli in piccole pietre preziose. Le saline si srotolano lente lungo la litoranea che appena fuori Marsala si allunga fino a Trapani, costeggiando i mulini a vento e i minuscoli arcipelaghi. Furono i Fenici tre mila anni fa detenere fino al primo millennio a.C. il monopolio del sale, risorsa indispensabile per la conservazione del pesce, della carne e per la concia delle pelli. A Nubia, il Museo del sale consente di cogliere tutti gli aspetti di questo affascinante mondo. | |
Nelle vasche, l'allevamento del pesce, una primitiva forma di acquicoltura, offre sul mercato una rara produzione di spigole e orate dal gusto delizioso e inconfondibile. I terreni che si dipanano fra il sale e le colline sono coltivati prevalentemente a meloni e aglio. |
L'aglio rosso di Nubia raccolto fra maggio e giugno, essiccato in parte sui campi, viene confezionato in trecce da cento teste ( bulbi ) e appeso ai balconi o nei magazzini. Ha sapore e odore intensi per l'elevato contenuto di allicina. I meloni sono uno dei prodotti più longevi dell'agricoltura trapanese. Il melone giallo di Paceco dalla tipica forma allungata è una delizia affogato nel Marsala o più semplicemente in un buon bicchiere di vino vecchio, o nel gelato.
Il romanzo del Marsala
Il Marsala è molto più di un vino, accostare le labbra a questo nettare liquoroso vuol dire legare il palato alla storia. Battaglie, rivoluzioni, alleanze, strategie, nessun vino è stato così presente nei momenti cruciali del passato. Una corsa di quasi 250 anni sulle ali di cambiamenti epocali che hanno segnato il mondo; passando frale mani di Napoleone, Nelson, Cavour, Mazzini e Garibaldi. |
Andare per cantine a Marsala non è soltanto l'occasione per memorabili degustazioni; sotto le volte intatte dei manufatti secolari si sente il respiro del tempo. Le aziende storiche custodiscono preziosi cimeli di archeologia industriale in piccoli musei da esplorare senza fretta. Scoperto per caso da un commerciante Inglese, John Woodhouse, nel 1773, il Marsala dopo aver conquistato il mercato britannico, è con la famiglia Florio che, nel 1832, raggiunge la popolarità in tutti i continenti. |
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Un successo consolidato dalla estensione sempre maggiore dei vigneti e dalla realizzazione di nuovi stabilimenti. E' del 1969 l'attribuzione della Denominazione di Origine, il primo di una serie di disciplinari a tutela dei migliori vini Italiani. La zona da produzione è limitata alla provincia di Alcamo, Pantelleria e Favignana. Le uve consentite sono: Grillo, Inzolia, Catarratto e Damaschino, Pignatello, Calabrese e Nerello. La ricetta: spremitura, fermentazione alcolica, svinatura. Aggiunta della concia ( alcol e mosto cotto ) e della mistella ( mosto di uva raccolta tardivamente e alcol). |
L'invecchiamento avviene in grandi botti di rovere e può svolgersi anche con il metodo Soleras ( travasi parziali in botti che contengono vini di diverse annate ). Il colore può essere oro, ambra, rubino. Secondo la durata d'invecchiamento si distingue in: Fine ( minimo 1 anno ), Superiore ( 2 anni ), Superiore Riserva ( 4 anni ), Vergine o Soleras ( 5 anni ), Vergine stravecchio ( 10 anni ). Per il contenuto zuccherino: secco, semisecco, dolce o Garibaldi.
Compagno versatile in cucina, insaporisce salse, creme, antipasti, primi e secondi piatti, frutta e dolci. E' una sorpresa con i formaggi a pasta dura; secco è ottimo come aperitivo o con i biscotti coi fichi. Fuori pasto è un eccellente vino da meditazione, meglio se in compagnia di un quadrato di cioccolato o di un buon sigaro.
La cucina del Val di Mazara
Il territorio, una fitta rete di frazioni e contrade che si dipana fra Marsala, Mazara e Castelvetrano, è un sussidiario di memorie lunghe almeno duemila anni, un grande patrimonio che il cibo ha reso immortale. Un compendio di testimonianze che, proprio in queste terre, vive il suo momento più alto, coniugando cucina di terra e di mare.
I primi piatti sono così ricchi da diventare spesso piatti unici. Il cuscus a Mazara del Vallo si irrora con la zuppa di pesce arricchita con crostacei, zucchine, carote, patate e verza. Nel Marsalese si condisce con brodo di tacchino oppure con lumache e verdure. Sostanziosa è anche la pasta con le sarde che i mazaresi chiamano 'a milanisa, con la salsa di pomodoro al posto dello zafferano.
A Castelvetrano il piatto delle feste è uno stufato a base di polpa di maiale e bruciole. A Marsala e a Mazara, invece, nella salsa si cuociono le vope ( boghe ), diliscte e imbottite con una farcia di mollica condita. Stesso ripieno, con aggiunta di uvetta e pinoli, si usa per le sarde a beccafico: aperte a libro e disposte una sull'altra, vengono stufate in tegame con il pomodoro. Il gronco, spezzettato e cucinato a ragù, insaporisce la pasta fresca, spolverizzata con una nevicata di mollica mista a un trito di aglio e prezzemolo.
A Castelvetrano, la ricotta occupa un ruolo importante. Calda, grondante di siero, è una leccornia da gustare intingendovi il pane casereccio. Legate al susseguirsi delle stagioni in campagna e al tipo di pescato lungo le coste, le minestre sono i pilastri della cucina popolare: macco di fave, minestre con le verdure o con il pesce, zuppa di ceci, brodo di galletti ruspanti con le tagliatelle. Un'insolita zuppa contadina è il matarocco marsalese, un pesto di pomodoro, aglio e basilico, ammorbidito con olio. Il mare mazarese offre infiniti spunti gastronomici: grigliate, fritture miste, brodetti. Il baccalà è proposto in guazzetto con patate e pomodoro, fritto o in timballo. La ghiotta di pesce si prepara con cannulicchi ( gattucci di mare ), rana pescatrice e coccio ( pesce prete ). Una variante classica è l'aggiunta di fave verdi, patate e pomodoro.
Di origine greca è la ricetta delle vope chine: le boghe farcite, avvolte nelle foglie di vite e cotte sulla brace. Il ragù di pesce è arricchito con finocchietto selvatico. Nell'entroterra si prediligono le verdure e le carni: pollo al forno o in brodo con gli spaghetti spezzati e le interiora o stigghiola ( attorcigliati ai gambi di prezzemolo ), agnello a stufato, maccu di fave con ragù di maiale e cotiche, castrato alla brace e coniglio alla cacciatora. Dal maiale si ricava la salsiccia a rocchi grossi per il ragù, e quella a nastro con semi di finocchio o anche con caciocavalo e pomodoro.
Una proposta di Castelvetrano è la pasta a Tiano, un timballo al forno con sarde, finocchietto, pomodoro, broccoletti, cavolfiore e pangrattato abbrustolito. Antico e apprezzato è il pane nero di Castelvetrano, lavorato a mano, l'impasto custodisce le due farine di grani autoctoni ( russulidda e tumminia ), selezionati in Sicilia dai greci di Selinunte. Si riconosce subito, ha il colore del caffè tostato e un aroma piacevolissimo.
Marsalese è lo squarato, pane di semola di grano duro sbollentato nell'acqua calda prima della cottura. I cabbuceddi fritti sono ritagli di pasta di pane che i buongustai bagnano nel vincotto o nel Marsala. La sciovata, una pagnotta schiacciata impastata con più acqua, è squisita con olio, pomodoro, primo sale, olive e basilico.
La pasticceria del Val di Mazara annovera forme e colori unici. Marsala vanta un interessante repertorio: le spagnolette, scrigni delicati di pasta savoiarda con ripieno di ricotta, i pagnottini con la crema, i dolci con la conserva di zucca, i cappelletti di sfoglia con la ricotta, la sbriciolata di ricotta. A Castelvetrano il primato spetta al gattò di ricotta cotta al forno. A Mazara del Vallo, le suore benedettine del convento di San Michele, ogni giorno sfornano deliziosi pasticcini, ricette che si tramandano da secoli: muccunetti ( palline di pasta di mandorla ripiene di conserva di zucca ), cassatedde ( biscotti farciti con fichi secchi ) fruttini di Martorana. La ricotta è ovunque, la dolce sorpresa dei dolci fritti ( a Mazara ravioli, a Marsala Cappidduzzi, a Castelvetrano Cassatelle ).
I vini della Denominazione di Origine Controllata Delia Novelli sembrano fatti apposta per accompagnare i piatti della tradizione di queste valli. Diverse le tipologie: il bianco con uve Chardonnay, Damaschino, Grecanico, Grillo, Muller Thurgau, Sauvignon; il rosso con uve Cabernait Sauvignon, Merlot, nero d'Avola, Syrah.
L'oliva da mensa Nocellara del Belice è un altro "must" di questa mappa del gusto. Ha polpa soda, croccante, di colore verde intenso. Raccolta precocemente e manualmente, può essere condita in vari modi: olio, aglio e origano, oppure sedano, carota e sottaceti. Dalla stessa oliva si ricava l'olio DOP Valle del Belice. L'area di maggiore concentrazione della cultivar comprende i territori dei comuni di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna, Santa Ninfa, Poggioreale e salaparuta.
Valle del Balice, la colazione dei pastori
Verso l'interno il paesaggio cambia radicalmente; la fitta vegetazione dei pascoli ricopre colline e valli, racchiudendo fazzoletti di frumento, di viti edi ulivi. Qui la provincia appare più che altrove divisa in due: il basso la zona costiera e l'imminente entroterra, al centro la polpa, il Belice, E, ovunque, praterie battute da ovini e caprini, la vera ricchezza di questo territorio. In campagna resiste tra i contadini la Zabbina, una colazione a base di ricotta e siero. Dalla stesa lavorazione si estrae la Tumma, un formaggio tenerissimo, adoperato in svariate pietanze, compresa la pizza. Il primo sale è un pecorino di freschissima stagionatura, i caseifici lo condiscono con olive, col peperoncino, con il pomodoro secco. Un classico è col pepe nero. Da questi pascoli nasce la Vastedda del Belice, una prelibatezza inserita a pieno titolo nella mappa dei formaggi italiani di rango, l'unico a pasta filata prodotto esclusivamente con latte ovino crudo. Si consuma asciutta, in pezzature fino a un chilogrammo, quasi subito. Il modo migliore per gustarla è con un filo d'olio, pomodoro e origano. Nella cucina della valle onnipresente è la ricotta: pasta con fave fresche e ricotta, polpette di ricotta, pasta con l'aglio e ricotta salata, pasta con le fave, verdure selvatiche e ricotta fresca. L'agnello e il capretto si cuociono con le patate, al forno o in tegame; la pecora si prepara bollita con verdure o a stufato con le patate e il finocchietto selvatico.
I colli dei sacri pani
In alto il castello e i campanili delle chiese sovrastano la collina di Salemi, un borgo che gli arabi non a torto chiamarono Saleiman, luogo di delizie. San Giuseppe, 19 Marzo, per queste contrade assolate immerse nel cuore della campagna siciliana, segna un vero "Capodanno". L'orologio biologico della terra riparte proprio da questo giorno. Raccolto, semina e vendemmia si glorificano con antichi riti propiziatori, ingraziandosi il santo. | |
Chi ha contratto un debito con San Giuseppe costruisce in suo onore templi di pane, veri capolavori d'arte. Sotto le volte, si offrono prima ai tre santi ( in origine erano i bambini più poveri del paese )e poi ai visitatori cento e più pietanze. I preparativi hanno inizio almeno un mese prima: le donne impastano quintali di farina, e poi ognuna col suo coltellino incide la pasta e la trasforma in merletti, oggetti, animali, fiori. sfornati i pani si costruisce il tempio. L'armatura è decorata con rami di mirto, alloro, arance e limoni. Centinaia di panuzzi ricoprono l'altare.Nei due giorni predenti la festa, le donne cucinano le vivande per il banchetto rituale. Il numero delle pietanze è centouno, ma qualche famiglia arriva pure a centotrenta portate. Gli spaghetti aprono la lunga lista del menù, li insaporisce un insolito intingolo: olio, zucchero, mollica, cannella, prezzemolo e un pezzo di finocchio crudo. Il primo assaggio è dei tre santi, poi la tavola è aperta a tutti. In pochi minuti la festa diventa corale, il rito condiviso con ciascuno dei visitatori si trasforma in convivio. Ecco alcune specialità: Frittate di ogni tipo ( con i carciofi, con le cipolle, con i peperoni, con i broccoli, col formaggio, col pomodoro fresco e il basilico, con la ricotta ), verdure e ortaggi ( senape fritta, cicoria fritta con il pecorino, polpette di broccoli, polpette di finocchietto selvatico, finocchi, fritti, melanzane impanate, pomodori secchi fritti, funghi ripieni ) pesci ( sarde fritte, boghe fritte, polpette di sarde, cozze ripiene, involtini di pesce spada, calamari ripieni), arancine, torte e pasticcini con la crema e con la ricotta ( cannoli, cassate, biscotti con i fichi, pignolata). |
San Vito lo Capo, la festa del Couscous
Appare così, all'improvviso, dietro una curva, dopo chilometri di roccia e mare. Un arazzo di colori nuovi, intessuto di trame fitte di scogliere, rena e acqua. Fra San Vito lo Capo e Scopello è un saliscendi di emozioni che approdano su litorali che sembrano disegnati dalla mano di un bambino.
La lunga spiaggia bianca taglia in due la scena: da un lato il paese con le case basse dei pescatori, gli alberghetti e la passeggiata con ristoranti e i tavolini all'aperto; dall'altra parte il faro, le torri, le montagne che precipitano giù dal cielo in acrobatiche ombre che leccano il mare.
E' sullo sfondo di queste suggestioni che a fine settembre per le strade di San Vito lo Capo va in scena il Couscous Fest, una kermesse gastronomica che per sei giorni trasforma il borgo marinaro in un immenso laboratorio del gusto. A una giuria di giornalisti spetta il compito di laureare il miglior couscous del mondo. Una competizione che è anche segno di apertura fra mondi e culture differenti. A San Vito il couscous lo preparano con i pesci e i crostacei. |
Egadi, tre perle da mangiare
Dall'aliscafo che lentamente si avvicina a Favignana, le isole Egadi sembrano pezzi di Scozia volati in Sicilia, nel cuore del Mediterraneo. Le spiagge bianche, le nuvole rosa, le colline tinte di verde. E il continuo inseguirsi di scenari: giardini, boschi, voragini, montagne. Un paradiso terrestre in mezzo al blu, a poche miglia da Marsala.
La gastronomia è incentrata soprattutto sulla pesca del tonno, una risorsa di primaria importanza. Innumerevoli le ricette: a ragù sulla pasta, in polpette, al forno, in agrodolce, con le erbe di montagna, a falsomagro, a stufato, alla matalotta, in involtini, a tortino. Vero capolavoro sono le frascatole, grosse palline di semola, in brodo di aragosta. E poi, naturalmente, le pastasciutte: con la bottarga di tonno, con le patelle, con il ragù di grongo, con le uova di ricci.
Marettimo è un incessante susseguirsi di pianure rigogliose e inaspettate fughe verso l'alto, pareti rocciose che sim allungano in prospettive dolomitiche, l'acqua verde laccata dai riflessi iridati della roccia che cambia colore. Resiste l'usanza di fare i pisci scacciati ( secchi ) con cicireddi, ritunni e polpi.
Pantelleria: Il Passito, nettare degli dei
La vite orlagli sbalzi e i sentieri dell'isola in un gigantesco ricamo di grappoli e foglie, filari di uva zibibbo ricoprono il 70% del terreno coltivabile di Pantelleria. La Denominazione di Origine Controllata Pantelleria è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: moscato liquoroso, moscato spumante, moscato dorato, passito liquoroso, zibibbo dolce e bianco, anche frizzante. Il passito è un vino da meditazione, da provare con cioccolato, ricotta, formaggi erborinati, dolci di mandorla, cassata siciliana. Da uve non appassite si ottiene il moscato, che può essere liquoroso e spumante, si abbina bene a formaggi saporiti, macedonie, gelato, pesci affumicati, caprini.